Youth League
[FOCUS] – Milan-Atletico Madrid: una partita che passa anche dalla panchina
Lo scontro dei quarti di finale di Youth League è anche Abate contro Torres
Gli occhi scrutano, guardano, scannerizzano; il cervello assimila, elabora; le idee mettono in pratica. Dietro a questo processo produttivo possono esserci milioni di interpretazioni, eppure la matrice iniziale è sempre composta da queste tre colonne portanti. Per fare l’allenatore servono occhi, cervello e idee, qualcuno potrebbe obiettare dicendo che servono anche il cuore e perché no, un pizzico di follia. Oggi siamo qui per analizzare due interpretazioni differenti del ruolo di mister, di colui che deve miscelare gli ingredienti di cui sopra, aggiungerne di altri o togliere qualcosa, tenendo sempre in mente la meta finale: crescere e togliersi soddisfazioni. Ignazio Abate e Fernando Torres: uno è stato capitano del Milan vincendo (mai un dettaglio trascurabile) uno scudetto e due supercoppe italiane; l’altro è stato una bandiera sempre ammainata dei colchoneros, simbolo eterno di cosa voglia dire indossare e respirare quei colori. Domani sarà il grande giorno, perché i quarti di youth league si avvicinano ad ampie falcate.
RICORDI DOLCI-AMARI
Il quarto di finale di Youth League rievoca giorni di un passato neanche troppo remoto: nella toccata e fuga di Fernando Torres al Milan, stagione 2014-15, “el nino” non lascia particolarmente il segno nei cuori dei tifosi (in 10 presenze collezionate mette a segno soltanto un gol, prima di tornare alla casa base, l’Atletico Madrid), ma nello spogliatoio di quel Milan c’è anche un certo terzino destro, che con la maglia numero 20 indosserà anche la fascia da capitano: è il 2 Novembre 2014 e mentre Fernando Torres è seduto in panchina, Ignazio Abate sta guidando i suoi compagni di squadra per la prima volta con la fascia al braccio. Due carriere che si intrecciano per qualche mese, ma che si regalano pochi momenti da rievocare quando si rivedranno a bordo campo prima del fischio d’inizio: come già accennato, a Gennaio 2015 Torres decide di chiudere il capitolo del libro della sua carriera intitolato “Milan”, per aprirsi all’idea di un sequel, riprendendo una vecchia storia d’amore da dove l’aveva lasciata. Il centravanti torna tra le mura di casa, quelle dell’Atletico Madrid, che oggi lo vedono protagonista in vesti diverse ma con la solita fame (e qualche chilo di muscoli in più).
LONTANI NELLE IDEE, MA ACCOMUNATI DALL’OBIETTIVO FINALE
Il plot twist in linguaggio cinematografico è una sovversione delle aspettative, un evento chiave che può ribaltare le convinzioni precedentemente date allo spettatore. Sovversione delle aspettative: si potrebbe partire da questo piccolo dettaglio per poi allargare l’inquadratura ad una vasta gamma di sfumature. Perché Milan-Atletico Madrid può significare tanto per entrambe, ma simboleggia molto ancor prima del fischio d’inizio. Sarebbe simbolicamente il coronamento del duro lavoro, della resilienza e della voglia di sovvertire i pronostici per mister Abate, che parte come spesso gli è accaduto in carriera da underdog, un habitat che non di rado gli ha restituito soddisfazioni. Sarebbe invece il simbolo di una ascesa da record per Fernando Torres, che entrerebbe nella storia dalla porta principale: in sette mesi alla guida dei suoi ragazzi, lo spagnolo ha messo in fila un folgorante filotto di vittorie, sei nelle prime sette in youth league; con la spaventosa media punti per partita di 2,57, l’Atletico guarda tutti dall’alto in basso, eccezion fatta per il Liverpool di Lewtas (stessa media punti) e il Real Madrid di Arbeloa (ancor più vicino alla perfezione, con una sconcertante media di 2,71). Dunque, i due tecnici non potrebbero essere più lontani per interpretazione del gioco e filosofia tattica: Abate non lascia nessun dettaglio al caso, facendo della solidità e l’unità d’intenti due armi affilatissime; Torres invece punta il mirino su una fase offensiva fantasiosa, fatta di estro e giocate. Lo scontro quindi si accende anche in panchina, e punta i riflettori anche sulle scelte dei due strateghi: è il terreno perfetto per una battaglia senza esclusione di colpi, con il verdetto finale ovviamente lasciato al campo.
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