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Pratichi sport come il calcio? Non ti dimenticare la vitamina K

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Lo sport più famoso nel nostro mondo è senza dubbio il calcio: ogni anno squadre da 11 giocatori si rincorrono su campi verdi cercando di segnare di porta in porta. Soltanto in Italia l’industria del calcio porta ogni anni a 78.8 miliardi di euro in ricavi, una cifra che fa davvero impallidire una persona normale ma che, infondo, non sorprende gli appassionati, ben consci degli stipendi multimilionari che animano le vite dei calciatori più famosi.

 

Questi ultimi, per poter stare dove sono, si allenano, giocano e spesso si fanno anche male; il termine infortunio, d’altronde, è quasi sempre sinonimo di cartellino giallo e non potrebbe essere altrimenti. Oltre alle varie patologie definite come “overuse” (uso eccessivo), il mondo del calcio è interessato da una quantità innumerevole di fratture, microfratture, lussazioni e chi più ne ha più ne metta.

Le ossa, quindi, sono estremamente importanti per i calciatori e non potrebbe essere altrimenti: è proprio per questo che le diete degli sportivi tendono a includere in maniera specifica alimenti ricchi di calcio e anche di vitamina K.

Se il calcio è solitamente associato direttamente al mondo delle ossa a che serve invece la vitamina K? Ecco, questo articolo serve proprio a scoprire ciò.

 

Perché la vitamina K è importante per i calciatori?

Col termine “vitamina K” si intende un’intera famiglia di molecole di cui le più famose sono note come K1 (fillochinone) e K2 (menachinone); la prima è in prevalenza presente nei vegetali, la seconda, invece, nella carne, nei lattini, nelle uova e negli alimenti fermentati. Per chi segue una dieta prevalentemente vegetale, è spesso consigliato integrare la K2. Fortunatamente, l’acquisto di queste vitamine è reso facile da questo catalogo di vitamine K disponibile in una rinomata piattaforma online di prodotti nutrizionali.

Strutturalmente l’osso è composto da una parte esterna dura e da una matrice interna di carattere spugnoso e, esattamente come per tanti altri tessuti, tutto ciò è soggetto a un rinnovamento continuo. Ogni 7 / 10 anni lo scheletro viene sostanzialmente ricostruito attraverso dei processi rigenerativi a meno di fratture particolarmente gravi.

Gli osteoclasti scompongono il tessuto osseo, gli osteoblasti lo ricostruiscono; ciò che viene scomposto finisce nel flusso sanguigno per soddisfare le esigenze metaboliche. Queste due parti del processo devono essere ben equilibrate per evitare problemi di calcificazione. Gli osteoblasti, durante il loro funzionamento, producono una sostanza chiamata osteocalcina che è necessaria per portare avanti li processo di mineralizzazione. L’osteocalcina, di suo, è però inattiva e diventa attiva (dando inizio alla sopracitata mineralizzazione) grazie all’interazione con la Vitamina K. 

 

Con le ossa non si scherza

Per quanto (fortunatamente per i calciatori) gli infortuni legati a questo magico sport siano a carattere muscolare, con i contrasti più brutti possono accadere con un certo livelli di semplicità anche fratture davvero terribili. 

Solitamente il percorso di recupero da questo genere di situazioni comprende, oltre a lunghissimi mesi di fisioterapia e canonici mesi di stop, anche il seguire diete particolari, così da incentivare l’organismo a ricostruire l’osso nella maniera corretta. Nella storia del calcio diversi sono stati gli infortuni legati a ossa rotte: tra i più celebri troviamo quello di Inigo Diaz de Cerio della Real Sociedad, che scontratosi con il portiere dell’Eibar si fratturò Tibia e Perone; ancora peggio, se possibile, fu l’infortunio riportato da David Busst in un match tra Manchester United e Coventry, con una frattura scomposta di tibia e perone risolta dopo BEN 26 interventi chirurgici.

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