Primavera 1
[FOCUS] – Il passato li unisce, il campo li divide: la finale di Supercoppa Primavera è anche Chivu vs Aquilani
Due amici ai tempi della Roma diventano nemici per conquistare un trofeo prestigioso
La finale di Supercoppa Primavera è uno dei palcoscenici più prestigiosi del calcio giovanile, capace di unire presente, passato e futuro, di riportare alla memoria ricordi ed emozioni di una vita. E’ questo il caso della partita che andrà in scena questa sera, uno scontro tra titani sia dentro che fuori da quel prato rettangolare e verde che racchiude sogni, speranze e ambizioni. Inter-Fiorentina non è soltanto la sfida tra Toci e Carboni, o tra Iliev e Di Stefano: sulle panchine delle due squadre siedono due conoscitori sopraffini del calcio, uniti dal passato ma divisi dalla voglia di vincere nel presente. Christian Chivu e Alberto Aquilani sono state due bandiere della Roma del ventunesimo secolo, hanno condiviso anni di carriera, trionfi e sofferenze, ma domani saranno forzatamente dei nemici. Ripercorriamo la storia recente dei due allenatori nelle loro rispettive avventure.
L’INTER DI CHIVU: NEL LIMBO TRA FALLIMENTO E REDENZIONE
Le ultime due annate di Christian Chivu alla guida dell’Inter sono state a dir poco corpose: una montagna russa, con dei picchi di gioia incommensurabili e momenti di sofferenza, dove vedere la luce in fondo al tunnel è stato un compito arduo.
La rincorsa per i playoff 2022 è lunga e il viaggio è costellato di mine vaganti, pronte ad esplodere ed evocare fantasmi difficili da scacciare dalla testa: nelle pieghe di una stagione vissuta talvolta da protagonista, talvolta da spalla nei confronti di una Roma che comandava il campionato dai suoi albori, la squadra ha risentito in positivo di esplosioni detonanti e improvvise di alcuni giovani, che dalla notte al giorno hanno cambiato le prospettive dell’intera stagione; il primo a dare continuità al suo gioco e ad inanellare partite da dominatore incontrastato della scena, è Cesare Casadei, centrocampista totale che grazie ad un equilibrio tecnico tra qualità nell’impostazione, nella rifinitura e nell’ultimo passaggio, traghetta la squadra verso acque calde, verso lidi prestigiosi. Arrivati nel momento di massima tensione, dove ogni minima sbavatura può avere effetti irrimediabilmente catastrofici, alzano i toni della propria stagione gli altri tre tenori della Inter scudettata: Giovanni Fabbian, secondo miglior marcatore della squadra a torneo concluso (8 gol, dietro agli inarrivabili 14 centri del ragazzo di cui sopra, Cesare Casadei), nonché motore della rinascita nerazzurra contro il Cagliari, assieme ad un Abiuso autore di una doppietta spartiacque; Nikola Iliev, il motore e principale ispiratore della rimonta in semifinale contro il Cagliari, uno che non sa cosa voglia dire rallentare, perché nel suo vocabolario esiste solo la parola “inventare”. Così, con la calma serafica di un veterano nel corpo di un appena maggiorenne, il bulgaro ha seminato il panico nella difesa della Roma, confezionando il gol vittoria in finale e cucendo sul petto dei nerazzurri lo scudetto; ultimo, non per importanza, Franco Carboni, che come un diesel impiega qualche partita per entrare a pieno regime, poi è un pendolo che scandisce il ritmo delle azioni dell’Inter, che è puntuale sulla fascia come un orologio svizzero e che graffia come un felino con dei cross affilatissimi, sette dei quali si tramutano in cioccolatini solo da scartare per i compagni. In questo ventaglio ricco di opzioni si inserisce quello altrettanto ricco degli imprevisti: la squadra di Chivu, tra difficoltà nel rodaggio del sistema tattico e sovrabbondanza di incognite fisiche, arriva ai playoff con il ruolo di outsider di una Roma schiacciasassi, con una continuità fuori da ogni schema logico. In più, i nerazzurri arrivano a tanto così dal fondo del baratro già in semifinale, quando grazie al moto di orgoglio e ad un uragano di nome Fabio Abiuso, la squadra supera il primo scoglio. In finale serve la miglior versione di sé stessi, e dopo un avvio stentato l’Inter tira fuori un poker d’assi che fa saltare il banco: prima Casadei, poi Iliev strozzano l’urlo di gioia in gola alla Roma di De Rossi, mettendo la firma su un capolavoro il cui autore e sceneggiatore ha un nome e cognome: è Christian Chivu l’inizio e la fine di tutto, l’equilibratore di un vaso di Pandora ricolmo di talento ma difficile da maneggiare, il chimico che conosce le giuste dosi di un cocktail che può rivelarsi meraviglioso quanto letale.
ALBERTO AQUILANI: LO SPECIALISTA DELLE COPPE
Se dovessimo creare una MasterClass su come vincere un trofeo a livello giovanile, uno dei professori in cattedra sarebbe sicuramente Alberto Aquilani. L’allenatore romano ha ereditato la panchina della Fiorentina nel 2020, risultato? Le ultime tre edizioni della Primavera Tim Cup sono tutte colorate di viola. Uno straordinario filotto di vittorie, che fa il paio con il successo in Supercoppa Primavera dello scorso anno. La Fiorentina dunque si presenta all’appuntamento da campione uscente della competizione, con l’esperienza della passata stagione a fare da bagaglio personale e con la consapevolezza che a guidare la squadra c’è un maestro nella gestione della pressione e del palcoscenico: l’Alberto Aquilani allenatore è un filo ininterrotto che unisce la tradizione classica (basti pensare al suo ormai marchio di fabbrica, il 4-3-3 con un mediano dai piedi buoni e i due esterni d’attacco che ragionano a tutto campo) alla voglia di innovare e rinnovarsi; come la nuova scuola tedesca, è anche lui un allenatore dall’imprinting offensivo, ma abbina anche una predisposizione al possesso palla di influsso spagnolo. In più, Alberto Aquilani incarna quel rinnovamento che dalle scuole di Coverciano ci auguriamo ormai da anni: l’allenatore della Fiorentina ha 38 anni e subito dopo il suo ritiro dal calcio giocato ha iniziato la sua avventura sulla panchina della viola, facendosi portavoce della voglia che hanno molti allenatori giovani di rinnovare il nostro calcio e riportarlo sul tetto del mondo per importanza e valori espressi in campo.
IL PASSATO LI UNISCE, IL CAMPO LI SEPARA
Qual è l’anello di congiunzione tra i due signori che si sfidano dalla panchina? Ovviamente un passato comune, che li ha visti lottare dallo stesso lato del campo e per lo stesso obiettivo: Christian Chivu e Alberto Aquilani hanno condiviso tre stagioni con la maglia della Roma da giocatori, quando i due avevano rispettivamente 26 e 20 anni. Il proseguimento della carriera li ha allontanati, Chivu in direzione Inter, Aquilani in direzione Liverpool, ma le emozioni intense e contrastanti vissute insieme sono indelebili.
Eppure, un rapporto di amicizia e stima reciproca non li fermerà dal cercare di vincere un trofeo, perché all’interno di quei 90 minuti più eventuali supplementari il passato si azzera e conta solo il presente. Stasera tutto è lecito, da domani si torna amici come prima.
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