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Camarda e gli aneddoti degli ex compagni: “Segnava sempre 17 gol”

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Camarda Milan

Francesco Camarda è il ragazzo sui cui puntare lo sguardo per il presente e per il futuro. Nei giorni scorsi in tanti hanno parlato di lui e Sportweek ha deciso di dedicargli qualche pagina soprattutto con le parole di alcuni amici ed ex compagni all’Afforese, sua prima squadra da giovanissimo sognatore del pallone. Proprio Niccolò Pasella e Gabriele Ribatti hanno raccontato la loro amicizia con l’attaccante del Milan: «Gli facciamo i complimenti dopo un gol o una vittoria. Vedersi è diventato più complicato» hanno detto in coro. 

Gli elogi di Costacurta su Camarda

Camarda Afforese

Camarda ai tempi dell’Afforese

Pasella, l’esordio e l’esultanza per Camarda

Niccolò Pasella ha raccontato l’amico Camarda e dà un voto all’arrabbiatura di Francesco in caso di sconfitta: «Sei, dai». Ma quando ha capito fosse così forte e la risposta: «Quando abbiamo visto che vincevamo tutte le partite diciassette, diciotto a zero, e lui aveva segnato tutti i diciassette o diciotto gol. Scartava tutti, pure noi». 

Sul come è nata l’amicizia con Camarda: «Perché stavamo sempre insieme, all’Afforese come in oratorio. Fino ai 13 anni è stato così, poi ci siamo un po’ persi». E a chiudere sull’esordio: «Io invece ero là (a San Siro n.d.r.). Quando ho sentito lo speaker gridare il suo nome all’ingresso in campo, sono saltato in piedi come tutti».

Alle origini di Camarda, le parole del primo allenatore

Camarda Italia U17

Francesco Camarda con la maglia dell’Italia U17 all’Europeo di categoria

Gabriele, il braccio rotto e la modestia di Camarda

Gabriele ha raccontato il suo amico Camarda. Già un vincente anche da bambino: «L’importante era vincere. Ma in allenamento ogni tanto cercavamo di togliergli la palla anche con qualche calcione. Gli entravi da dietro, quando meno se lo aspettava, ma era complicato lo stesso, perché era più alto e massiccio rispetto a noi». E fuori dal campo: «La sua migliore qualità è la modestia: non si è montato la testa, non ti fa pesare di essere un calciatore già famoso. Il difetto? Era un po’ permaloso. E a pallone, quando perdeva, sembrava distrutto. Si vedeva già allora che ci teneva tanto».

Poi l’aneddoto sul braccio rotto: «Beh, quella volta che, alle Elementari, mi ha rotto un braccio. Partita di calcio a scuola: lui stava per segnare, tanto per cambiare, io provo a contrastarlo, Francesco mi rifila una spallata e io cado male». E sull’arrivo al Milan: «Io dai miei. So che Francesco lo ha saputo a sua volta dai suoi genitori uno o due giorni dopo l’accordo. Quando ha esordito in A eravamo d’accordo che le nostre famiglie sarebbero andate insieme allo stadio, ma non è stato possibile perché Francesco aveva avuto pochi biglietti». Sul futuro, a chiudere, Gabriele è sicuro di vederlo presto in Serie A: «Sì. Il calcio è il suo chiodo fisso. Durante la pandemia alle otto e mezza del mattino era già in cortile a tirare da solo la palla contro il muro. A dieci anni giocavamo insieme al parchetto contro quelli di tredici. Cinque contro cinque, vincevamo sempre noi. Quelli più grandi guardavano Francesco e avevano la faccia di chi non capisce come uno tanto più piccolo fosse stato capace di non fargli vedere la palla».

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