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Pochesci a MP: “Il calcio italiano guarda alla sostanza, all’oggi e non al domani”
Ognuno ha il suo modo di vedere il calcio. Giusto o sbagliato che sia. C’è chi lo vede come uno sport, chi come un mestiere e chi come Sandro Pochesci. Una vita dedita al mondo del pallone, prima da giocatore e poi da tecnico. Tanta esperienza alle spalle, specie in quelle categorie volgarmente definite “minori”, che gli hanno permesso di divenire quello che è. Un uomo che non le ha mai mandate a dire, ma che ci mette la faccia a costo di risultare antipatico o inadatto alle eccessive formalità. Un forte appassionato di calcio, sempre in perpetuo aggiornamento. Alla finestra alla ricerca di un incarico nella piazza giusta, l’allenatore di Tor Vergata si è presentato ai nostri microfoni in un’intervista riguardo il tema giovani. Un viaggio, prima ancora che una serie di domande e risposte, lungo il suo pensiero.
Perché si ha paura di lanciare i giovani?
“Perché oggi perdi una partita amichevole in preparazione e già sei messo in discussione. Il calcio italiano guarda alla sostanza, all’oggi e non al domani. Non programma più nessuno, anche perché non ci sono più i dirigenti. Il calcio italiano sta andando a rotoli, non ci sono più i presidenti di una volta. Non c’è più la passione, c’è solo l’interesse e il business e quest’ultimo purtroppo lo fai solo in Serie A. Nelle categorie minori se non hai passione non vai avanti, e lo dimostrano tutti i fallimenti che ci sono stati: soprattutto nelle grandi piazze“.
Zaniolo fu convocato in Nazionale prima ancora dell’esordio in Serie A. Mancini ha scelto di osare e i risultati gli stanno dando ragione.
“Mancini è partito col piede giusto. Dopo il fallimento del non andare al Mondiale è stato molto bravo ad approntare la Nazionale sui giovani e noi ce li abbiamo forti e di qualità. Ma sono i giovani che giocano, quelli che migliorano, perché Zaniolo lo scopriamo alla Roma per il fallimento di Pastore e l’infortunio di Pellegrini; in una partita si fecero male loro due, entrò Zaniolo e da lì non è più uscito. Non riusciamo a capire che un ragazzo a 16-18 anni se ha qualità bisogna farlo giocare. L’esperienza? Non può avercela un giovane, ma da lui dobbiamo prendere l’incoscienza, la voglia, la determinazione e la motivazione dell’arrivare. Ci vorrebbero delle regole più ferree nel nostro campionato, le medicine sono tante, però chi è che prende queste decisioni? Speriamo in questa nuova dirigenza affinché faccia qualcosa per aiutare il calcio italiano. La medicina è una: obbligare come si faceva una volta a meno stranieri e inserire nelle prime squadre giocatori che vengono dal settore giovanile. Ci deve inoltre essere un numero minimo di italiani. Non posso vedere partite di Coppa Italia in cui squadre come Fiorentina e Atalanta hanno tre italiani oppure Lazio e Milan con due. Il campionato d’italiano c’ha poco, già i presidenti sono stranieri e le nostre rose sono piene anch’esse di stranieri. Mancini quando va a vedere le partite va per uno-due giocatori. Non può nascondersi, va a vedere la partita e ce ne sta uno di qua e uno di là e il più delle volte viene sostituito: questo è il male. Speriamo che si faccia qualcosa d’importante per questo calcio, la vedo brutta“.
Perché andiamo a cercare giovani all’esterno quando i nostri, ad esempio Cutrone, vengono a emergere soltanto per delle conseguenze?
“Purtroppo è molto più facile. Se Zaniolo si fosse chiamato con un nome brasiliano o argentino magari avrebbe già giocato qualche anno prima. Sul discorso restiamo sempre lì. Cutrone, se non fosse andato a fare la tournee con il Milan o i rossoneri avessero preso Belotti, probabilmente sarebbe andato a giocare in Serie B. Magari non avrebbe avuto questa esplosione, gli ci sarebbe voluto qualche anno in più. Bisogna avere il coraggio di farli giocare e se non ce l’ha la società deve essere il sistema a dare un aiuto a questi giocatori“.
L’Europeo Under 21 è alle porte. Cosa aspettarsi dall’Italia?
“L’under 21 è una buona squadra. Mi pare che l’ultima selezione italiana a vincere qualcosa fu quella del 2004, poi abbiamo fatto sempre un po’ figuracce. Questo è il solito rendimento degli ultimi anni delle nazionali giovanili“.
Il modo di vedere i settori giovanili in Italia è obsoleto?
“I settori giovanili vanno fatti da persone che fanno calcio. Il più delle volte vediamo dirigenti che non c’entrano niente, quindi senza una programmazione, una voglia di organizzare il proprio settore giovanile con persone capaci e con sistemi di gioco all’avanguardia. Questo qui è quello che ci manca. Il calcio viene fatto con i dirigenti che lo sanno fare, se manca la materia prima è normale che tutto il resto vada a rotoli“.
I calciatori d’oggi, a causa della mancanza delle basi di quel famoso calcio di strada, sono più bravi nella teoria che nella pratica. Siamo disabituati a quest’ultima?
“Un calciatore si allena sei volte alla settimana e alle volte fanno anche delle doppie sedute. L’allenamento c’è e il giocatore sa quello che deve fare, ma una volta ti allenavi due ore con le squadra e stavi cinque-sei ore per la strada. Era lì che si formava la tecnica e la malizia del calciatore. Noi giocavamo sull’asfalto e sui cortili, oggi manca proprio questo: le ore di praticità dei ragazzi. Oggi un bambino va alla scuola calcio 2-3 volte alla settimana facendo due ore, noi facevamo tutto questo in un giorno. È solamente che non c’è la continuità del gesto. Colui che calcia meglio in porta è il preparatore dei portiere che, anche se in carriera ha giocato tra i pali, ogni giorno tira 100-200 volte in allenamento e quindi ha una praticità“.
Si è fatto un’idea delle squadre B? Possono essere davvero utili per i giovani?
“Se vanno fatte come si deve sì. Le squadre B devono essere fatte da giovani italiani ma se ci mettiamo ragazzi di 35-36 anni non servano a niente. Se bisogna farle i componenti devono essere sotto i 23 anni e basta. Devono essere tutte italiane per dar modo a questi ragazzi del settore giovanile di crescere in fretta. Oltre alle basi durante la settimana dovrebbero avere modo di allenarsi con la prima squadra per confrontarsi con giocatori più importanti, così hai una crescita, sennò a cosa serve? La Juventus che inserisce nella propria rosa under 23 giocatori di 35 anni e stranieri a cosa serve? A niente. Le seconde squadre vanno fatte con italiani e con una base che deve essere al di sotto dei 23 anni“.
Ha mai pensato di allenare in un settore giovanile?
“No, non l’ho mai pensato. Ho una scuola calcio e mi ci diverto, però per il settore giovanile servono degli allenatori adatti. Sono un tecnico con molto poca pazienza e nei settori giovanili ci vogliono persone che devono a stare a disposizione di questi ragazzi che il più delle volte sono viziati e coccolati. A me piace molto affrontare l’uomo e le problematiche di campo, con i ragazzi ci vogliono degli istruttori e io non mi sento di esserlo“.
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