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L’organizzazione di un Settore Giovanile: il modello Bologna

Lunga intervista rilasciata in esclusiva da Daniele Corazza, responsabile del Settore Giovanile rossoblù

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I successi di una squadra nascono da un lavoro di lunghi anni fatto da professionisti esperti e volti poco noti al pubblico. In questa intervista, realizzata da Francesco Bianchi e Luca Pincherle, abbiamo studiato il modello Bologna intervistando a lungo il responsabile del Settore giovanile rossoblù, Daniele Corazza, che dal 2004 lavora a stretto contatto con i giovani per provare a trasformarli in professionisti.

Com’è cambiato il mondo Bologna da quando è arrivato Saputo?

Il nuovo assetto societario ha cambiato quelli che erano i nostri obiettivi, permettendoci di lavorare con più serenità grazie all’impiantistica ed alle risorse messeci a disposizione. Io ho cambiato nove presidenti e devo dire che tutti mi hanno valorizzato, probabilmente perché han visto una persona sentimentale che ha cercato di fare tutto nell’interesse del club. Nelle annate precedenti, nonostante le scarse risorse economiche, abbiamo fatto comunque grandi cose: siamo arrivati alle final eight di Under 15 con una squadra di ragazzi interamente provenienti dalla scuola calcio, grazie esclusivamente al lavoro fatto sul campo da un gruppo di professionisti che ha fatto delle competenze il grande valore; da lì siamo partiti, aggiungendo ogni anno un mattoncino. Abbiamo sempre avuto grandi idee ma poche risorse: ora il presidente ci ha messo nelle migliori condizioni per lavorare. Adesso in Italia riusciamo a prendere i migliori talenti, confrontandoci con settori giovanili tra i più blasonati.

Già il fatto che l’anno scorso siete riusciti a vincere il Viareggio nonostante foste di una categoria minore è stata una dimostrazione eclatante: a livello tecnico ve la siete giocati con tutti.

L’anno scorso noi abbiamo perso una sola partita, con il Brescia all’ultimo minuto: tutte le altre gare sono state vinte con merito, non per caso. I successi della scorsa stagione e del gruppo Primavera sono figli di un lavoro di Settore Giovanile importante. Io credo che la vittoria del Viareggio derivi proprio dal fatto che la maggior parte dei ragazzi sono cresciuti qui: siamo una delle poche società che porta in Primavera oltre il 50% di giocatori cresciuti nella nostra scuola calcio. Tutto questo è figlio di una metodologia di lavoro e di un sistema che ci ha portati, a causa delle difficoltà economiche degli anni addietro, a lavorare scrupolosamente sul materiale fornitoci dal territorio.

E forse anche figlio di una scelta tutt’altro che scontata, quella di confermare l’allenatore a seguito della retrocessione in Primavera 2 di due anni fa. Una scelta legata, al di là degli aspetti tecnici, ad un forte rapporto umano instauratosi con Troise?

Il mio direttore sportivo (Bigon) ha chiarito fin da subito come il progetto di Emanuele fosse da considerarsi pluriennale: noi sposavamo l’uomo ed il suo modo di lavorare, funzionale alla crescita dei ragazzi. Quell’anno siamo retrocessi immeritatamente; per cui, confrontandoci con la dirigenza, abbiamo valutato che non sarebbe stato saggio interrompere un percorso di lavoro iniziato da appena 10 mesi. Nonostante le divergenze che fanno parte di qualsiasi rapporto professionale, stimo tantissimo Troise e siamo in piena sintonia. Qualche giorno fa è stato insignito del Premio Maestrelli e ha voluto fortemente che presenziassi insieme a lui: consideriamo questo importante riconoscimento come un elogio a tutto il Settore Giovanile.

A questo proposito sarebbe interessante capire anche il coordinamento nella metodologia di lavoro della parte tecnica. Penso ad esempio ad un modello di Settore giovanile come quello dell’Ajax, che da anni impronta un sistema di gioco con codici ben definiti in modo tale da formare ragazzi immediatamente pronti all’inserimento in prima squadra. C’è questo tipo di idea e di interazione con Mihajlovic ed il suo staff?

In Italia c’è un po’ il mito dell’Ajax e del Barcellona, club in cui tutti giocano allo stesso modo cercando di strutturare il giocatore fin da piccolo: io il calcio lo penso in modo diverso. Oggi il giocatore moderno deve essere duttile, atletico e deve disporre di un bagaglio tecnico-tattico molto ampio per poter ambire a diventare un giocatore internazionale. Spesso giocatori che hanno fatto il Settore Giovanile in quei club, una volta decontestualizzati, si devono praticamente resettare, necessitando di tempistiche di adattamento più lunghe. Noi siamo molto aperti: crediamo di dare una formazione ai ragazzi colma di principi e nozioni che potranno sfruttare con i vari allenatori che incontreranno lungo il loro percorso. Le interazioni con la prima squadra da quando sono responsabile del Settore Giovanile (dal 2004) ci sono sempre state. Molti ragazzi si allenano con i ‘grandi’ con una certa costanza, per cui gli scambi di opinione sono pressochè quotidiani; insieme alla dirigenza decidiamo qual è il percorso migliore per ogni giocatore.

La domanda nasceva perché nella passata stagione si vociferava che Inzaghi avesse suggerito l’utilizzo del 3-5-2 anche per la formazione Primavera…

Sì, questo è vero. L’anno scorso mi venne chiesto da Inzaghi, disse che avrebbe avuto piacere nel vedere applicato lo stesso sistema di gioco anche in Primavera in modo da semplificargli il lavoro. Di conseguenza insieme al mister avevamo costruito ed ipotizzato una squadra adatta per giocare con il 3-5-2: ci tengo a chiarire che non abbiamo ricevuto nessun tipo di pressioni, lo abbiamo fatto perché siamo riusciti a lavorare in piena sintonia.

Sempre restando in tema di dinamiche interne: come funziona la rete scouting del settore giovanile? Un giocatore viene scelto esclusivamente per il talento o perché può avere una funzionalità nel sistema di gioco dell’allenatore della rispettiva fascia d’età?

La rete scouting è costituita da tre comparti tra loro comunicanti: scouting della prima squadra, scouting delle giovanili di livello agonistico e scouting dell’attività di base. Io seguo quello del settore giovanile, coadiuvato da due referenti quali Davide Caprari e Antonio Piazza. Sul singolo giocatore valutiamo sempre prospettiva e talento, che consideriamo componenti principali: dopodiché si cerca di evitare di creare temi di sovrapposizione. Se disponiamo di un giocatore valido in un certo ruolo, magari cresciuto nella nostra scuola calcio, solitamente non ne cerchiamo di nuovi altrove.

Le operazioni più onerose del mercato estivo della Primavera hanno riguardato giocatori quali Cangiano e Juwara, da un mese stabilmente aggregati ai convocati della prima squadra. In passato avete acquistato nomi come Okwonkwo e Kingsley dalla Viareggio Cup, fino ad arrivare a Marco Molla, reduce dal mondiale U17. In questi casi la rete di osservatori della prima squadra e del settore giovanile hanno lavorato congiuntamente?

Per quanto riguarda Cangiano e Juwara sono state sicuramente operazioni di concerto, anche se parliamo di due profili su cui non è che ci fosse tanto da fare scouting. Questo lavoro è più riferibile magari a giocatori come Baldursson, ragazzo islandese arrivato qui a cifre molto accessibili. Se hai un buon budget a disposizione i giocatori li trovi: abbiamo preso calciatori che hanno delle potenzialità molto interessanti.

Molla per esempio è stato segnalato da un nostro scout, l'abbiamo portato in prova dal Prato e non c'è stato bisogno di molto tempo perché Pagliuca ci convincesse ad acquistarlo. All'inizio ha avuto difficoltà ma giorno dopo giorno è stata una progressiva scoperta e la chiamata in nazionale dimostra del suo grande potenziale. L'importante è che i ragazzi oggi siano consapevoli che finora non hanno fatto nulla quindi devono tenere un profilo basso e continuare a lavorare.

È chiaro che un giovane dal momento in cui arriva qui ha l’aspirazione affermarsi nel mondo del calcio, ma i desideri spesso si scontrano poi con la dura realtà dei fatti. Come Settore Giovanile quanto date rilevanza alla formazione del ragazzo anche dal punto di vista scolastico?

Abbiamo un accordo con dei tutor del Camplus Bononia che ci aiutano a decidere quale sia il miglior percorso scolastico per ogni ragazzo. A livello di istituti siamo convenzionati con il liceo Manzoni, il che ci dà una grossa mano; l’ultima parola però spetta sempre alla famiglia. Riteniamo importante qualsiasi tipo di percorso scolastico che un ragazzo voglia intraprendere. Mi vengono in mente ad esempio Khailoti e Rabbi, che frequentano la scuola pubblica con indirizzi molto impegnativi. La possibilità di studiare c’è per tutti: noi li supportiamo, poi sta al ragazzo applicarsi. L’altra sera sono arrivato tardi in convitto ed ho trovato Grieco che stava studiando: sinceramente mi ha fatto molto piacere. All’interno del convitto in cui vivono, i ragazzi hanno a disposizione diversi tutor in grado di aiutarli nelle materie in cui riscontrano maggiori difficoltà.

C’è l’idea di creare un campus, una scuola interna alla società con l’obiettivo di formare i ragazzi?

Al momento siamo contenti delle nostre strutture, in futuro si vedrà. La priorità è quella di migliorare sempre di più alzando la qualità di questo settore giovanile sotto tutti i punti di vista. C’è da considerare che abbiamo tantissimi calciatori di proprietà che sono nel calcio professionistico: è chiaro che il nostro obiettivo è quello di portare più giocatori possibili in Serie A, che è poi la cosa che ci chiede la nostra proprietà.

D’altronde questa è già una sorta di scuola per i ragazzi che trascorrono la maggior parte della giornata al campo: il vostro ruolo è, con le dovute differenziazioni d’ambito, equiparabile a quello di un insegnante…

Sì, noi per i ragazzi siamo un primo momento di difficile selezione a cui loro sono sottoposti, più della scuola e di tanti altri ambienti. Io chiaramente li terrei sempre tutti, è ovvio che mi piacerebbe che quelli che arrivano giocassero tutti in Serie A; poi però bisogna fare i conti con la realtà, con il calcio che come tutti gli sport di alto livello è altamente selettivo.

Il suo lavoro, con l'avvento dei social network, ha dovuto cambiare certe dinamiche per tutelare i ragazzi del settore giovanile. Come avete lavorato su questo aspetto?

Negli ultimi sedici anni è cambiato il mondo, io devo aggiornarmi per stare al passo, i social hanno fatto sia del bene che del male. I ragazzi devono stare attenti a quello che pubblicano, ti possono dare soddisfazioni ma sono anche controproducenti. I ragazzi ci tengono a cosa dicono i media ma bisogna stargli abbastanza addosso, hai un'immagine e sei comunque all'interno di un club professionistico, bisogna rimanere entro certi limiti. Devono imparare ad accettare i giudizi continui di persone esterne, tutti i giorni si viene giudicati per quello che si fa. 

Quest'anno abbiamo cambiato qualche dinamica. Non avevo piacere che i ragazzi rilasciassero interviste, se non per qualche eccezione. Se facciamo delle iniziative ora le facciamo per tutti. Ciò che mi preoccupa è il singolo. Non bisogna convincere i giocatori, soprattutto i più piccoli, che se fai due gol in una partita sei il più forte. Soprattutto quando vanno in nazionale. Dalle prime selezioni spiego sempre che la prima chiamata esalta i ragazzi e che può avere delle ripercussioni a livello psicologico che ti fanno perdere il posto anche in squadra. Vestire la maglia della Nazionale ha un impatto importante e va gestito. Ciò che raccomando ai miei allenatori è quello di parlare coi ragazzi e avere il piacere di ascoltarli. Solo così riusciamo a migliorarli. 

Il calcio a livello giovanile è di una passionalità e di una purezza unica. Ci sono tante componenti che vanno a creare delle interferenze, dobbiamo essere forti e credibili per guidare ed educare i ragazzi nella direzione giusta. A volte le famiglie non si accorgono del grande lavoro che facciamo sui loro ragazzi, su ogni singolo c'è un impegno enorme; a volte si danno per scontato i valori, qui hanno un servizio tutt'altro che banale…

Lei sente un po’ la pressione delle famiglie nelle selezioni iniziali?

Quando parlo con le famiglie cerco sempre di mettermi nei loro panni, perché è chiaro che quando prendi un giocatore è bellissimo, quando lo fai uscire dall’orbita è molto più complesso. Io ho sempre provato ad essere molto attento, cercando di dare più possibilità a tutti, a volte anche sbagliando: penso sia meglio dire una brutta verità subito piuttosto che portare avanti situazioni che diventerebbero poi insostenibili. Proprio per questo è stato poi ideato il progetto BFC365, che coinvolge tutte le società dilettantistiche di Bologna e provincia con l’obiettivo di tenere sotto controllo anche i ragazzi che devono essere aspettati.

Questo è un problema del calcio italiano: i giocatori talentuosi che morfologicamente hanno bisogno di tempistiche diverse vanno aspettati. Quando decido di non confermare un ragazzo gli propongo sempre un percorso alternativo per portarlo al top di quelle che sono le sue potenzialità: a volte mi ascoltano e a volte no. Devo dire che sono state fatte scelte che hanno pagato tantissimo: l’esempio più eclatante è Masina, che è uscito e rientrato in questo settore giovanile ed ora gioca in Premier. Oggi penso a Matteo Montebugnoli, ragazzo del 2002 che sta giocando in Serie D a Mezzolara e sta facendo molto bene, completando un percorso di formazione importante.

Ognuno ha la sua strada, bisogna essere bravi a trovarla e le famiglie devono cercare di dare fiducia a chi ha esperienza e lavora con i loro figli, anche se le idee iniziali possono essere diametralmente opposte. Noi stiamo lavorando molto sull’autoconsapevolezza dei ragazzi, soprattutto in Under 15 ed in Under 16, grazie al supporto della nostra psicologa Paola Tomasotti. Facciamo riunioni dove, insieme a tutti i componenti dello staff tecnico, analizziamo nel dettaglio ogni singolo giocatore in modo tale da metterlo nelle migliori condizioni per esprimersi: bisogna capire che è importante la scuola, sono importanti i valori, è importante la nostra maglia. Io sono sempre dell’idea che chi indossa la maglia del Bologna debba conoscere, oltre alla storia, chi l’ha vestita prima di lui. Per questo la scorsa stagione ho richiesto espressamente che tutti i giocatori del Settore Giovanile prendessero il pullman e venissero a vedere la finale al Torneo di Viareggio: volevo che i ‘piccoli’ vedessero quello che hanno fatto i loro colleghi più grandi.

Dall’esterno il senso di appartenenza si è visto molto.

La mia prima preoccupazione è stata che loro andassero a salutare chi era fuori, perché c’erano allenatori del nostro Settore Giovanile che sono con me da 15 anni e che han fatto l’impossibile per questa causa. Per me era importante. Non dobbiamo convincere nessuno a vestire questa maglia, le scelte spettano a loro, noi possiamo solo mostrargli come siamo, nei pregi e nei difetti. Cerchiamo di fargli capire che vestire questa maglia ha un peso non indifferente, a volte ci si dimentica che questo è uno dei club più blasonati d'Italia.

Personalità come Perez, Pagliuca, Vigiani o Coppola, che oltre a essere grandi uomini e professionisti sanno cosa vuol dire indossare la maglia del Bologna, sono aspetti da trasmettere se si vuole fare il professionista di grande livello. Se ai portieri viene dato un consiglio da Pagliuca, Coppola o Bucci di solito li ascoltano… Perez è molto diverso da com'era in campo. Aiuta molto i singoli, soprattutto chi si affaccia alla prima squadra, è un trait d'union importante.

In occasione della Supercoppa disputatasi al Dall’Ara c’è stata una manifestazione d’affetto importante per questa Primavera, segno di un lavoro che è stato riconosciuto ed apprezzato dal pubblico…

Inizialmente la partita non era stata programmata allo stadio. Bisognava trovare un campo tra Bologna e Pescara; poi il Pescara ci ha dato la sua disponibilità a disputare l’incontro tra le nostre mura. Penso sia stato anche un bel segnale organizzativo all’esterno. Ero molto teso, avevo paura di fare una brutta figura a casa nostra. In quei bellissimi due mesi abbiamo capito che la città ci stava seguendo: la gente mi fermava per strada per fare i complimenti e chiedere come stavano andando i ragazzi. L’affetto dimostratoci dai tifosi è stato qualcosa di fantastico.

Per finire, quali sono gli obiettivi delle sue squadre per quest'anno?

Avere squadre competitive, che i singoli crescano per fare valutazioni serene a fine stagione. In Primavera guardiamo di più il risultato perchè bisogna essere più competitivi, ma principalmente vogliamo che i ragazzi si divertano e siano sereni. 

Francesco Bianchi e Luca Pincherle, Mondoprimavera.com

 

 

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