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Evaristo Cola: “Vedere i 2001 giocare ancora in Primavera è inappropriato”
Per Cola, uno dei più famosi talent scout italiani, va fatta un urgente riforma che aiuti a valorizzare i giovani
L’ultimo Europeo ha dato l’ennesima conferma sul fatto di puntare sui giovani, ma soprattutto di dare possibilità alle squadre di far giocare di più i giovani del proprio vivaio.
L’Italia Campione d’Europa, seppur con un gruppo giovane e affiatato, ha comunque fatto capire che da noi il ‘giovane’ deve avere almeno 23 anni, cosa che in altre Nazionali abbiamo visto titolari di 17/18 anni.
Negli ultimi anni, però, come abbiamo detto più volte, grazie anche alla riforma del campionato Primavera che ha portato ad avere una sorta di ‘Serie A’ e ‘Serie B’ giovanili – Primavera 1 e Primavera 2 e da qiesta stagione arriverà anche il Primavera 4, dopo che nell’ultima è stato inserito il Primavera 3 – i giovani hanno avuto più chances, ma è evidente che bisogna fare ancora molto.
Ecco che a riguardo è intervenuto aTuttoC.com Evaristo Cola, uno dei più famosi talent scout e consulenti tecnici italiani.
Cola ha iniziato proprio dai campionati Primavera, facendo notare che già da lì qualcosa dovrebbe cambiare, nonostante tutto:
“Se noi facciamo ancora giocare i 2001 e i 2002 in Primavera non avremo mai un innalzamento della qualità dei nostri talenti; in quelle formazioni dovrebbero giocare solo sotto età, in modo da evitare i tanti svincoli che vanno a regime di precontratto e contratto e per verificare durante la stagione stessa miglioramenti, peggioramenti e prospettive future. Quindi nella prossima stagione, in Primavera 3 dovrebbero militare solo i 2004 e i 2005.”
Da qui si passa subito al campionato di Serie C, visto anche che molti Primavera iniziano lì la loro carriera da professionisti. Per lui ci vorrebbero, però alcuni obblighi che valorizzerebbero i giovani e settori giovanili:
“In C introdurrei l’obbligo di 1 o 2 under con provenienza dal proprio settore giovanile così facendo si creerebbe un buon settore giovanile della stessa società e un indotto diverso, andando a prelevare gli stessi under dalle scuole calcio oltre a valorizzarli e crescerli in casa, portandoli direttamente in Serie C. Altrimenti non si riescono a valorizzare i propri talenti. Se invece la Federazione imponesse l’obbligo si potrebbero creare plusvalenze, creando una linfa anche col prelievo dalle scuole calcio, così ci sarebbe un circolo virtuoso di qualità che darebbe più valore alle stesse scuole calcio che avrebbero in questo modo maggiore forza economica. Le società di A e di B per dare prestiti in C sono obbligate a pagare il premio di valorizzazione e molte società di C si mantengono in questo modo. Faccio l’esempio del ChievoVerona che, già navigando in brutte acque, non aveva la forza per un prestito in C a premio di valorizzazione; ha quindi deciso di dare il 2002 Perseu al Fiorenzuola, Club che ha poi vinto la D conquistando la promozione. Ma in questo modo il giovane Perseu ha perso un anno, in quanto per le sue qualità sarebbe stato già pronto per la terza serie: per lui prevedo un futuro in categorie superiori.”
Nella parte finale del suo pensiero rivolto alla valorizzazione dei giovani e a qualche regola che favorirebbe ciò, soprattutto in Serie C, lo stesso Cola aggiunge:
“Bisognerebbe tornare ad avere una categoria come la C2 di un tempo. Essere catapultati dalla Serie D alla Serie C senza una categoria intermedia è un passo troppo grande sotto l’aspetto strutturale, tattico, tecnico, fisico e anche economico. Spesso i giocatori non sono ancora pronti a livello morfologico per passare direttamente dal dilettantismo al professionismo e così rischiano di bruciarsi ed essere bocciati nell’immediato, in quanto in quel momento il giovane potrebbe non essere pronto mentre potrebbe esserlo nel giro di un anno per questioni strutturali e fisiche: in questo modo appunto si rischia di bruciare un giovane che nel giro di massimo 2 anni potrebbe invece venire fuori. Inoltre, se la società stessa non ha dietro un imprenditore forte, il passaggio si rivela fatale, col rischio di vedere sempre più società saltare, anche a campionato in corso, influenzando negativamente gli stessi.”
Facendo anche qui un esempio con il ChievoVerona – tra l’altro, a breve si saprà se disputerà il campionato di Serie B – la cui squadra aveva alle spalle un colosso come la Paluani:
“Il Chievo, squadra rappresentante un quartiere di Verona, aveva alle sue spalle l’impero della Paluani: non tutte possono permettersi di averlo, molte società – che non hanno grande bacino d’utenza e quindi non hanno grandi introiti dal botteghino e non hanno grande risonanza – hanno maggiori possibilità di saltare; così facendo tanti tesserati e collaboratori non vengono pagati falsando i campionati stessi e con conseguenze pesanti anche sulle famiglie dei tesserati stessi“.
Dichiarazioni decise, dirette e, forse, forti, ma che devono suonare come uno sprono, specie se arrivano da un grande conoscitore di calcio in generale ma soprattutto di calcio giovanile.
Abbiamo vinto tante sfide e oggi, calcisticamente parlando, è una delle sfide che dobbiamo e possiamo vincere.
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